“Il Grande
Dio che sorride”. Così i nativi chiamano questa gigantesca statua di cui solo
parte della testa emerge dalle acque di un profondo lago vulcanico incastonato tra
i monti del Suprendàr settentrionale; queste
sono terre isolate dall’Erondàr, a sud della grande catena montuosa del
Margondàr e subito a nord delle estese e inesplorate foreste meridionali, che
poi scompaiono per lasciare il posto alla rovente distesa di sabbia del Vhâcondàr,
l’immenso “paese vuoto” che separa l’Impero dai favolosi Regni Meridionali. Si
tratta delle vestigia dell’antica religione di una civiltà ormai perduta, che prosperò in un
tempo remoto in cui gli uomini veneravano gli Antichi Dei e questi calcavano la
terra dei mortali; prima che il khame
morea, la “via degli spiriti”, si imponesse come unico credo e religione
ufficiale dell’impero. Ci sono innumerevoli storie attorno a questa statua;
alcuni indigeni dicono che gli Antichi la edificarono in una profonda gola dove si
gettava un fiume, bloccandone prima il corso e poi lasciando che le acque
colmassero l’abisso, immergendo quasi completamente il “Dio”. Altri sostengono
che la statua inizialmente fosse tutta all’aria aperta e che essa sprofondi
nell’acqua a un ritmo di poche braccia
ogni lustro. Un giorno, essi dicono, il benevolo sorriso del Dio verrà coperto e resterà solo il suo sguardo freddo e impenetrabile.
Sarà allora che il “Dio” si desterà, lascerà il suo sepolcro liquido e
ritornerà a percorrere il mondo degli uomini. Nel frattempo, i giovani locali
lo usano come piattaforma per i loro tuffi acrobatici e l’antico Dio sembra
sorridere divertito dall’allegro schiamazzo che lo circonda.
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