L’impero erondariano
si estende verso ovest fino alla grande catena montuosa del Suprelurendàr, oltre la quale cessa la
terra ferma e si apre l’infinita distesa d’acqua del Halwéshùre. I monti del Suprelurendàr
cadono a picco nell’oceano occidentale, creando vertiginose scogliere che
sembrano non avere fine e che non lasciano spazio a spiagge, baie o a qualsiasi
approdo naturale. Per centinaia di leghe, da sud a nord, dalla città di Nedvian fino al regno di Raghnar, ultimo baluardo occidentale sul
Vallo, l’occhio vede solo enormi faraglioni e altissime pareti di roccia
modellata dalla furia dei venti e consumata dall’incessante moto delle onde. Sembra
incredibile che vi possano vivere delle persone ma è proprio qui, in questo
mondo verticale abitato da milioni di uccelli marini, che
vive e prospera il Popolo delle
Rupi. Visitare questa gente, fiera
della propria indipendenza ma ospitale con gli stranieri, è un’esperienza che
non si dimentica facilmente; case, villaggi e intere città sono scavate nella
durissima roccia delle scogliere, che si
lascia appena intaccare dalla mano dell’uomo, e si affacciano spaventosamente
sull’abisso, lasciando i loro abitanti a penzolare su cime, carrucole e
lunghissimi ponti di corda che si muovono continuamente, spinti dai venti marini.
È sbalorditivo osservare i bambini, anche quelli di pochi anni, muoversi
agilmente su precarie passerelle sospese nel vuoto, senza dare alcun segno di
paura o di vertigini. Qui nessuno cade, nessuna cima si spezza, nessuna casa si
stacca dalla roccia e precipita nel mare. Questo almeno fino a quando non vi
facemmo visita Gmor ed io, per una missione esplorativa imperiale. Il mio
povero amico orco fracassò tante di quelle passerelle di legno e disfece un
così gran numero di ponti di corda che dovettero costruire una via ferrata
apposta per lui, da allora chiamata “la via di colui che schianta i ponti”.
domenica 24 marzo 2013
venerdì 1 marzo 2013
Il Dio sorridente.
“Il Grande
Dio che sorride”. Così i nativi chiamano questa gigantesca statua di cui solo
parte della testa emerge dalle acque di un profondo lago vulcanico incastonato tra
i monti del Suprendàr settentrionale; queste
sono terre isolate dall’Erondàr, a sud della grande catena montuosa del
Margondàr e subito a nord delle estese e inesplorate foreste meridionali, che
poi scompaiono per lasciare il posto alla rovente distesa di sabbia del Vhâcondàr,
l’immenso “paese vuoto” che separa l’Impero dai favolosi Regni Meridionali. Si
tratta delle vestigia dell’antica religione di una civiltà ormai perduta, che prosperò in un
tempo remoto in cui gli uomini veneravano gli Antichi Dei e questi calcavano la
terra dei mortali; prima che il khame
morea, la “via degli spiriti”, si imponesse come unico credo e religione
ufficiale dell’impero. Ci sono innumerevoli storie attorno a questa statua;
alcuni indigeni dicono che gli Antichi la edificarono in una profonda gola dove si
gettava un fiume, bloccandone prima il corso e poi lasciando che le acque
colmassero l’abisso, immergendo quasi completamente il “Dio”. Altri sostengono
che la statua inizialmente fosse tutta all’aria aperta e che essa sprofondi
nell’acqua a un ritmo di poche braccia
ogni lustro. Un giorno, essi dicono, il benevolo sorriso del Dio verrà coperto e resterà solo il suo sguardo freddo e impenetrabile.
Sarà allora che il “Dio” si desterà, lascerà il suo sepolcro liquido e
ritornerà a percorrere il mondo degli uomini. Nel frattempo, i giovani locali
lo usano come piattaforma per i loro tuffi acrobatici e l’antico Dio sembra
sorridere divertito dall’allegro schiamazzo che lo circonda.
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