domenica 24 marzo 2013

Il Popolo delle Rupi.


L’impero erondariano si estende verso ovest fino alla grande catena montuosa del Suprelurendàr, oltre la quale cessa la terra ferma e si apre l’infinita distesa d’acqua del Halwéshùre. I monti del Suprelurendàr cadono a picco nell’oceano occidentale, creando vertiginose scogliere che sembrano non avere fine e che non lasciano spazio a spiagge, baie o a qualsiasi approdo naturale. Per centinaia di leghe, da sud a nord, dalla città di Nedvian fino al regno di Raghnar, ultimo baluardo occidentale sul Vallo,  l’occhio vede solo enormi faraglioni  e altissime pareti di roccia modellata dalla furia dei venti e consumata dall’incessante moto delle onde. Sembra incredibile che vi possano vivere delle persone ma è proprio qui, in questo mondo verticale abitato da milioni di uccelli marini, che vive e prospera il Popolo delle Rupi.  Visitare questa gente, fiera della propria indipendenza ma ospitale con gli stranieri, è un’esperienza che non si dimentica facilmente; case, villaggi e intere città sono scavate nella durissima  roccia delle scogliere, che si lascia appena intaccare dalla mano dell’uomo, e si affacciano spaventosamente sull’abisso, lasciando i loro abitanti a penzolare su cime, carrucole e lunghissimi ponti di corda che si muovono continuamente, spinti dai venti marini. È sbalorditivo osservare i bambini, anche quelli di pochi anni, muoversi agilmente su precarie passerelle sospese nel vuoto, senza dare alcun segno di paura o di vertigini. Qui nessuno cade, nessuna cima si spezza, nessuna casa si stacca dalla roccia e precipita nel mare. Questo almeno fino a quando non vi facemmo visita Gmor ed io, per una missione esplorativa imperiale. Il mio povero amico orco fracassò tante di quelle passerelle di legno e disfece un così gran numero di ponti di corda che dovettero costruire una via ferrata apposta per lui, da allora chiamata “la via di colui che schianta i ponti”.

venerdì 1 marzo 2013

Il Dio sorridente.



“Il Grande Dio che sorride”. Così i nativi chiamano questa gigantesca statua di cui solo parte della testa emerge dalle acque di un profondo lago vulcanico incastonato tra i monti del Suprendàr  settentrionale; queste sono terre isolate dall’Erondàr, a sud della grande catena montuosa del Margondàr e subito a nord delle estese e inesplorate foreste meridionali, che poi scompaiono per lasciare il posto alla rovente distesa di sabbia del Vhâcondàr, l’immenso “paese vuoto” che separa l’Impero dai favolosi Regni Meridionali. Si tratta delle vestigia dell’antica religione di una civiltà ormai perduta, che prosperò in un tempo remoto in cui gli uomini veneravano gli Antichi Dei e questi calcavano la terra dei mortali; prima che il khame morea, la “via degli spiriti”, si imponesse come unico credo e religione ufficiale dell’impero. Ci sono innumerevoli storie attorno a questa statua; alcuni indigeni dicono che gli Antichi la edificarono in una profonda gola dove si gettava un fiume, bloccandone prima il corso e poi lasciando che le acque colmassero l’abisso, immergendo quasi completamente il “Dio”. Altri sostengono che la statua inizialmente fosse tutta all’aria aperta e che essa sprofondi nell’acqua  a un ritmo di poche braccia ogni lustro. Un giorno, essi dicono, il benevolo sorriso del Dio verrà coperto  e resterà solo il suo sguardo freddo e impenetrabile. Sarà allora che il “Dio” si desterà, lascerà il suo sepolcro liquido e ritornerà a percorrere il mondo degli uomini. Nel frattempo, i giovani locali lo usano come piattaforma per i loro tuffi acrobatici e l’antico Dio sembra sorridere divertito dall’allegro schiamazzo che lo circonda.