Attorno al Mare della Brezza, tra le grandi vie di
comunicazione del Piccolo e Grande Anello, si estende l’immensa Cintura delle Messi, il “granaio dell’Impero”,
una sterminata area coltivata dove cresce la grande parte delle derrate
alimentari che nutrono le genti dell’Erondàr.
La perizia degli agronomi erondariani ha creato nel corso degli anni innumerevoli
incroci fertili tra specie vegetali e dato discendenza stabile a nuovi tipi di
frutta, legumi, piante, radici e tuberi mangerecci, anche
sorprendenti. Il mio preferito tra questi ibridi vegetali è senz’altro la Cocozza Colossa. Si tratta di una
cucurbitacea di grandi dimensioni che, giunta a maturazione, produce dei gas
non tossici al suo interno che la fanno levitare, come l’Aria Leggera con cui si riempiono i palloni dei nuvolanti imperiali. Non è raro vedere
interi campi di questi ortaggi maturi che
si muovono pigramente a mezz’aria, spinti dalla brezza o che scendono in massa
dai declivi, dopo essersi liberati dai pampini e dai tralci che li trattenevano
al terreno. I gas prodotti da questa zucca e che permettono all’ortaggio di
levitare, sono vapori molto inebrianti, come le bevande fermentate, e spesso i
raduni per il raccolto si trasformano in feste sfrenate che, in molte culture
locali, sono divenuti dei veri e propri riti agrari di carattere orgiastico. La Sagra della Cocozza Colossa di Fruhgendàrt
è famosa per gli eccessi compiuti dai partecipanti in preda all’ebbrezza. Uno dei momenti topici di questa festa popolare è la Corsa delle Cocozze, evento spettacolare
durante il quale i giovani locali spingono le zucche giù dall’alta collina dove
sorge la città verso il mare sottostante e le cavalcano a rompicollo in una
gara senza esclusione di colpi. I “cavalieri” delle zucche che riescono a raggiungere
il mare, vengono nominati Domatori della Cocozza
e hanno diritto di scelta tra le ragazze intervenute, con le quali si accompagneranno
per il resto della serata. Le zucche restano a galleggiare sull’acqua, a
decine, e al tramonto vi vengono praticati dei fori per far fuoriuscire il gas
che viene incendiato, provocando splendidi fuochi colorati e spettacolari
deflagrazioni che segnano il culmine della festa. Fortemente sconsigliato
portare le proprie figlie, giovani pulzelle o ragazze da marito a questa sagra…
a meno che non si voglia allargare la famiglia in tempi brevi.
martedì 30 ottobre 2012
lunedì 8 ottobre 2012
Fiori nel deserto.
Non amo recarmi nelle zone
desolate del Vhâcondàr, il “Paese Vuoto”
che si estende ai margini meridionali dell’Impero. Si tratta di una sterminata
distesa desertica che separa l’Erondàr
dai misteriosi ed esotici Regni
Meridionali. Centinaia e centinaia di miglia di deserti sabbiosi e
altopiani rocciosi calcinati dal sole; un ambiente arido e ostile dove è
impossibile sopravvivere senza l’ausilio di una guida indigena che conosca i
segreti di Er’el Atant’ar, “il
Martello del Sole”, come lo chiamano le popolazioni locali. Mi trovavo su un
altopiano a ovest di Ir’Elerkir,
sulle tracce di una banda di predoni berberi che avevano compiuto delle scorrerie
nel Suprendàr; dei predoni
nessuna traccia, in compenso incappammo in una femmina di Rhoyiik con due cuccioli, che occupavano l’unico posto all’ombra nel
raggio di decine di miglia, sotto un alto esemplare di “Pino del Deserto”. La mia
guida alahikineta mi sconsigliò
vivamente di andare a disturbare l’animale, poiché le femmine di questa specie
sono terribilmente aggressive quando si tratta di difendere i propri piccoli e
nessuno sano di mente vorrebbe fare infuriare un uccello carnivoro alto il
doppio di te e con artigli che potrebbero facilmente squartare un cavallo. Mi trattenni giusto il tempo di un veloce schizzo sul mio diario di viaggio. Verso la fine
di quella infruttuosa giornata, la guida avvistò quelli che sembravano essere
degli alti pali piantati nel terreno; si trattava di un gruppo di Ir’Alca Te’nei, letteralmente “Albero
che sazia” o T’ai Sen’Ehn, “l’Amico
del viandante”, nel dialetto di Elleysera. Queste altissime piante grasse hanno la proprietà di fiorire istantaneamente quando il loro fusto viene intaccato o inciso, producendo grossi fiori bianchi e
carnosi, zuccherini e molto nutrienti. Si tratta di una strategia di difesa
della pianta estremamente subdola e crudele: la prima fioritura blandisce l’aggressore,
fornendogli ottimo cibo in quantità; se l’attacco continua, la seconda fioritura
sviluppa un potente veleno che solitamente non lascia scampo al malcapitato. La
mia guida lo sapeva bene; cucinò i primi fiori sulla pietra e con quelli
successivi fabbricò il veleno per le proprie frecce. Sarò stato cotto dal sole
e riarso dalla sete, ma quelle dolcissime frittelle vegetali sono state tra le
cose più buone che abbia mai mangiato.
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